Negative pledge. Se ne sente parlare spesso. Cos’è?

divieto

Cerchiamo di spiegarlo, in termine semplici. Innanzitutto, come potrete ben arguire, il negative pledge pone le radici nel diritto anglosassone ed è stato adattato, non con pochi problemi, al diritto italiano.

Ma che cos’è? Ipotizziamo che una società emetta un bond e che noi acquistiamo quel bond, finanziando l’emittente.

Vogliamo essere garantiti non solo dal default dell’ente emittente e ci possono rassicurare una serie di covenant, nonché garanzie accessorie sul credito.

Il negative pledge è una di esse e si tratta di un clausola-divieto nei confronti del debitore o nel nostro caso della società emittente di far ottenere prestiti garantiti migliori a quelli emessi con clausola (garanzie superiori), oppure di prestare garanzie per altri debitori. Quindi, è espressamente proibito per la società di trovare nuove fonti di finanziamento, offrendo come collaterale di garanzia parti del proprio patrimonio.

L’ibridazione anglosassone non sempre funziona a dovere. Negative pledge inefficace.

Ma qual è il problema con il diritto italiano? In caso di violazione della clausola negativa, non sempre si ha la stessa efficacia di rivalsa come con il diritto anglosassone. Bisognerebbe espressamente prevedere, in calce al contratto, le modalità di esercizio dei diritti da parte dei creditori, pratica piuttosto desueta.

D’altronde, associare al negative pledge, un covenant che prevede la possibilità di immediata escussione del patrimonio dell’ente emittente sarebbe più un male che un bene, dato che potremmo rientrare nel classico gioco del “dilemma del prigioniero”, in cui ognuno si chiede cosa faranno gli altri, ed alla fine decide di prendere subito una “fetta di torta”, nel dubbio di restare fregato. Non si fa altro che accelerare la fine della società. E’ il tipico caso della paventata “corsa agli sportelli”.

In effetti, così come posto, il negative pledge serve a poco o nulla soprattutto se nel frattempo è intervenuto il default dell’ente emittente e, quindi, nelle more delle stime del danno effettivo ai creditori, non si può dare avvio al rimborso, dato che la società è insolvente.

Ma anche l’associare ad esso altri covenant ci pone di fronte ad un problema: il creditore è tenuto ad aspettare che la garanzia aggiuntiva, conseguente alla violazione della clausola negativa o negative pledge, sia rispettata oppure può fare un’azione diretta nei confronti dell’emittente? Ciò dovrebbe essere stabilito in chiare lettere.

Quale potrebbe essere un altro esempio di covenant aggiuntvo? Se la società emittente viola il negative pledge e concede altre garanzie a nuovi finanziatori, deve assicurare gli stessi privilegi anche ai vecchi creditori.

Bisognerebbe scendere nei dettagli del negative pledge, stabilendo, inoltre, se la violazione è di natura accidentale (frutto di difficoltà e conseguenze legali come ad es. pegni ed ipoteche) oppure di natura intenzionale.

E sbrogliare la matassa è tanto più difficile quanto più ci scontriamo con il diritto internazionale. Non è difficile configurare un caso del genere, soprattutto se si suol pensare a colossi che emettono i bond in tutto il mondo.

La soluzione più semplice. Il fondo di garanzia collettiva dei creditori. Senza covenant.

Sarebbe preferibile arrivare ad una cultura “unitaria” del diritto. Siamo in un mondo globalizzato ma non riusciamo a pensare “globale”.

E così, per non fermarci in un vicolo cieco, invece di trovare una maniera semplice e trasparente e stabilire dei covenant aggiuntivi all’ormai obsoleto negative pledge, si finisce col dire ai creditori: “Sarete rimborsati fino a tot euro complessivi (ad es. 100.000 euro)”.

Questi tot euro complessivi vanno poi suddivisi per un certo numero di risparmiatori. E supponiamo che non bastino per rimborsarli tutti?

Così veramente un investimento vale l’altro e si toglie, per un rompicapo giuridico, la possibilità ai creditori di saper cogliere la differenza tra acquistare un bond o un altro, sulla base delle garanzie contrattuali. Un contratto vale l’altro, questi sono gli standard di settore. L’unica discriminante è credere o meno nei fondamentali di quella società, e nulla più.

La paranoia del negative pledge finirà prima o poi?

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