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Debito pubblico Usa. Economia in affanno?

Non secondo l’agenzia di rating Fitch che, malgrado il debito pubblico Usa sia arrivato a toccare il 100% del Pil, non declassa affatto le “stelle e strisce” che incassano una bella tripla A ed un outlook stabile. Sappiamo già l’aria surriscaldata che c’è per le agenzie di rating e l’obiettività con cui esprimono, o meno, il loro giudizio. Anche l’Italia ne ha pagato non poche conseguenze. Eppure il rating c’è ancora e lo continuiamo ad interpretare: i mercati non arrestano di sondarlo. Ha comunicato l’agenzia statunitense: l’economia Usa è in ripresa e già nel 2015 il Pil salirà di un cospicuo 3%.

Ma, nei termini della teoria economica e dei test empirici, il debito pubblico Usa è un dato preoccupante per l’economia paese? Giriamo il discorso, come siamo soliti fare, in termini allargati per esprimere le nostre posizioni a tal riguardo.

L’economia internazionale ha molta

teoria dei giochi

Capiamo ancora meglio quanto siano infondati tutti i discorsi che puntano nuovamente al ritorno alla valuta domestica, e non si tratta di questioni ideologiche ma prettamente economiche. I singoli Stati hanno raggiunto una dimensione di interdipendenza e di integrazione tale che gli interessi dell’uno giocano con gli interessi dell’altro.

Ecco perché anche per l’economia statunitense e l’alto debito pubblico Usa oseremmo, non casualmente, parlare di teoria dei giochi. Al limite, se proprio volevamo la valuta domestica, dovevamo optare per un’unione monetaria prevedente il doppio corso monetario (lira ed euro) e non in via transitoria: il salto sarebbe stato meno drastico e, in più, sarebbe rimasta, in mano ai singoli Stati, la politica monetaria. Ma a qual pro?

Se da una parte l’Europa non convince del tutto per il mix di politica economica in atto ed il difficile grado di integrazione dei mercati finanziari (nessun punto di incontro tangibile tra borsa, finanza, banche e società finanziarie, microimprese), il tutto condizionato un po’ anche dai fattori culturali (come siamo abituati a gestire le nostre economie), dall’altra non possiamo dire che il progetto europeo sia da stralciare in toto.

E’ solo che verrebbe da pensare, anche a partire dallo “sfacelo” del debito pubblico, che si tratti di un’unione, sempre più politica e sempre meno economica.

E’ vero che per Keynes il debito pubblico non è un male ed anzi funge da motore per l’espansione della domanda (teoria del moltiplicatore keynesiano) ma d’altronde ci sarà un motivo per cui:

  • vi è un gioco “valutario” tra valute e paesi. Svalutazioni competitive o giocoforza dominanti vedono sempre nuovi protagonisti, in cui lo yuan cinese c’è, eccome. E non per la fisima che vede nell’economia del Dragone l’eterno scacco matto. Ma c’è anche la sterlina britannica che ci tiene a conservare il suo status di valuta rifugio per eccellenza. Il dollaro non sarebbe valuta di conto se non fosse per l’alto grado di relazioni commerciali (materie prime, commodities) che vede gli Usa sempre nell’occhio del mirino.
  • Bisogna avere delle riserve in valuta estera, tutti gli Stati le mettono a bilancio per ri-creare un certo equilibrio nei rapporti commerciali.
  • I bond pubblici fanno tutto il resto e creano ulteriore moneta. Quando si dice che uno stato estero ha “nella pancia” un bond in dollari Usa, non è che tale scelta sia di natura coattiva, ma rientra nella fitta rete dell’economia internazionale.

Quindi, non è strano se molti economisti quando sentono dire che il debito pubblico Usa è al 100% del pil, ed oltre, rispondano: “E chi se ne frega?”. Ma neanche ciò ci deve far sentire autorizzati a fare confronti decontestualizzati con l’Italia, dato che diverso è il potere economico e politico, nei termini delle relazioni internazionali. E così gli interessi dell’economia sono sempre, e quasi sempre, a servizio degli interessi “politici”.

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