Da pochi giorni, è stata analizzata la nuova riforma della Pubblica Amministrazione e si rimpiangono quasi i tempi in cui l’unica priorità era entrare nel “digitale”, rammodernare le pubbliche amministrazioni. Oggi, non si fa che parlare di ricambio generazionale, turnover, lavoro, occupazione, crescita. Risale al 2011, all’arcinoto decreto milleproroghe, l’ultimo termine in cui le pubbliche amministrazioni si sono dovute adeguare, ai fini della pubblicità legale degli atti, al cosiddetto albo pretorio online.
Un’impasse senza remore in cui ci si avvicinava al difficile compromesso tra modernità, efficienza della p.a e preservazione della privacy dei soggetti interessati, a riguardo dei dati sensibili. Ancora vi sono continue lamentele sulle millenarie questioni degli “sperperi” di denaro pubblico, sulle lentezze burocratiche, da una parte e dall’altra. Ma bisognerebbe verificare, caso per caso, sin quanto esse siano fondate. Chiaramente, siamo abituati ad inquadrare determinate realtà da un certo punto di vista che non ci abbandonerà mai.
Con l’albo pretorio online, venne istituito “il diritto all’oblio”. Di che cosa si trattava? Praticamente, i dati personali non dovevano restare in modo permanente nel motore di ricerca e quindi dovevano scomparire totalmente dal web. Qual è il problema? E’ che spesso a monte, i motori di ricerca che si interfacciavano con i vari software di rete, anche se protetti, conservavano una traccia. Richiami a Google ma il risultato è, a dir poco, esilarante.
Diritto all’oblio: Dall’albo pretorio a Google
Sì, Google è d’accordo, gli utenti hanno diritto alla rimozione dei dati dal motore di ricerca. E noi, non possiamo fare a meno di pensare al nonno “albo pretorio online”. Il discolo nipotino però che avrebbe fatto, secondo gli ultimi risvolti?
Come quando devi svolgere in fretta e superficialmente un compito scolastico perché non l’hai fatto durante le vacanze. Fai il possibile per far sembrare impeccabile la tua preparazione, per poter dire alla maestra: “Ho studiato giorni interi”, e nel frattempo, con aria furbetta, hai quell’atteggiamento di serena tranquillità che farebbe pensare che sia così. In realtà, se la maestra avesse controllato meglio avrebbe visto dei lavori fatti a puntino, ma non completati nella loro totalità. Un’interrogazione leverebbe ogni dubbio e sicuramente emergerebbero delle falle, la confusione che si fa quando si studia di fretta.
E così, con Google si è creato un parapiglia (altro che “diritto all’oblio”, già introdotto all’epoca dell’albo pretorio online): Informazioni di aziende francesi cancellate dal motore di ricerca francese ma rimaste ancora negli altri motori di ricerca, nelle altre lingue. Non c’è bisogno dell’interprete per capire, con maraviglia, quanto sia accaduto. Nulla è stato lasciato al caso: i risultati non sono stati affatto cancellati e resteranno nel motore di ricerca, solo cambierà l’ordine di comparsa in classifica (de-indicizzazione).
Dubbi restano su come si possa tutelare il diritto di non esserci, almeno non sempre, perché i patti erano ben altri.