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Finanziamento ai giornali. L’eterno battibecco

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Almeno l’Italia, per chi vede i contributi diretti ed indiretti del mondo pubblico (secondo molti il mondo della “politica”) verso l’editoria come una forma di prevaricazione o una fonte di sperpero…almeno, l’Italia non è la più cara o la più generosa, a seconda dei punti di vista. Non ci crederete, ma al primo posto nel sostegno all’editoria vi è niente di meno che la Francia.

Ciò che non convince i progressisti, che spesso fingono di non vedere, è la presunta insistenza del legislatore a porre tra i requisiti dell’accesso ai fondi le tipiche caratteristiche, alla base dell’immortale quotidiano, in copie cartacee. A questo punto, bisognerebbe spingersi verso altre dimensioni normative del finanziamento ai giornali come la tracciabilità digitale, configurando, in potenza, un popolo di abbonati on-line. Il numero di copie vendute on-line, così, sarebbe il nuovo equivalente moderno del numero di copie cartacee, distribuite agli edicolanti o ai vari punti di smercio. Ma in realtà già dall’anno scorso, lo stesso legislatore si è aggiornato all’universo dell’editoria digitale, come di seguito vedremo.

Non si sta parlando di un crudo divario generazionale. Altro che. Tutti quelli che come minimo hanno lo smartphone preferiscono consultare le notizie sul dispositivo portatile, magari anche abbonandosi o acquistando le relative app. Sempre più persone dichiarano di non acquistare più un quotidiano cartaceo.

Quali saranno i nuovi requisiti per il finanziamento ai giornali?

In tale direzione si è mosso il legislatore, già a partire dall’anno scorso prevedendo per il finanziamento al giornale alcune condizioni:

  • la continuazione dell’accesso ai contributi, nel caso in cui si entri anche nel mondo digitale, seppur in forma non esclusiva
  • la pubblicazione degli articoli, nella versione digitale della testata giornalistica, deve avvenire con una cadenza minima di 10 al giorno e avere un minimo di abbonati ( ad es. 240 per i quotidiani). Si può così accedere ad alcuni contributi, a titolo di rimborso spese, pari al 70% dei costi sostenuti e sommando 0,10 per ogni copia piazzata in abbonamento, nei limiti del prezzo finale unitario del quotidiano.

Più che di finanziamento ai giornali, in realtà, per essere più corretti dal punto di vista tecnico è da parlare di contributo spese (qualcuno risponderà: è la stessa liturgia della dicotomia stipendio-indennità del politico?), cifre che diventano astronomiche soprattutto nei recenti scandali che hanno coinvolto alcuni quotidiani nel ciclone dei contributi pubblici ai giornali, indebitamente percepiti da alcune testate, fuori dai requisiti di legge. Una bella botta per il quotidiano “Libero” che deve rimborsare 15 milioni di euro. Non ultimo l’Avanti con 23 milioni di euro.

Il criterio preferenziale che continua ad essere adottato e sembra esserci stato anche il “rimpasto” digitale è quello del rimborso (finanziamento ai giornali diretto) sulla base delle spese “vive” sostenute e delle copie vendute. Vi sono stati dei correttivi nel tempo, così come l’introduzione di nuovi requisiti (raggio di estensione, divieto di distribuzione degli utili, copie vendute, n° di dipendenti assunti regolarmente)

A questo punto, non resta che, per evitare ogni scandalo, puntare sulla strada del contributo indiretto, attraverso agevolazioni ed esenzioni fiscali.

E voi che cosa ne pensate? I giornali vanno sovvenzionati a monte oppure è il singolo lettore che li deve sovvenzionare, a valle?

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