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La nuova riforma delle pensioni

riforma delle pensioni

Fine settimana ricco di spunti per il nostro paese, con l’asta Btp che ha raggiunto tassi record, i btp a due anni che volano all’8 per cento e l’agenzia di rating Fitch che vede l’Italia gi in recessione. Urgono quindi interventi veloci ed ecco che l’esecutivo accelera sia sulle nomine politiche (già pronta la lista dei sottosegretari che verrà approvata ad inizio settimana) e sulle riforme chieste a gran voce da Bruxelles.

Sembra delineata quella che appare una delle riforme che più coinvolge i cittadini, e cioè quella riguardante le pensioni. Come dichiarato dallo stesso ministro competente, Elsa Fornero, l’intervento oltre ad adeguare il nostro sistema contributivo allo standard europeo dovrà avere un ruolo di modifica strutturale e porre un po’ d’ordine in una materia che sino ad oggi è stata modificata più volte, ma mai completamente.

Infatti le riforme fatte nel governo Dini ( 1992) e nel governo Amato ( 1995) non appaiono idonee a risolvere il problema di un sistema contributivo che troppe volte non si è avuto il coraggio di modificare sino in fondo per tutelare troppo alcuni privilegi e diritti acquisiti, tutela che è andata a discapito proprio dei lavoratori più giovani. Adesso l’intervento del ministro “tecnico” Fornero avrà finalmente se non il carattere di definitività perlomeno quello di modifica strutturale.

La base di partenza è proprio la riforma Dini del 1995, in cui i lavoratori vennero distinti in tre categorie. La prima riguardava gli assunti prima del 1995 che avevano i 18 anni di contributi ( per questi la pensione era calcolata in modalità retributiva), chi nell’anno 1995 non aveva ancora i 18 anni richiesti ( per questi la modalità di calcolo era mista e quindi l’importo della pensione viene calcolato secondo il pro rata) e quelli che erano stati assunti dopo il 1995 ( per questi la pensione era totalmente contributiva).

Tuttavia un tale sistema seppure tenta di mettere una pezza allo squilibrio che si era generato negli anni precedenti risulta essere troppo dispendioso, e quelli che godono del sistema retributivo beneficiano di un’ importo della pensione troppo elevato rispetto al totale dei contributi versati. Ricordiamo infatti che il montante contributivo ( il totale dei contributi versati durante la vita lavorativa ) viene moltiplicato per un indicatore che fornisce il livello della rata mensile della pensione. In questo caso , per i lavoratori che godono totalmente del sistema contributivo , se il reddito è di 30 mila euro al raggiungimento dell’età pensionabile la pensione erogata sarà di almeno 27 mila euro annui.

Se invece viene applicato sin da subito il sistema pro rata ai fini retributivi lo stesso lavoratore andrà in pensione più tardi ( infatti viene previsto lo slittamento di circa 4 anni) ma la retribuzione totale della pensione supererà i 28 mila euro, con un risparmio in termini generali per l’istituto di previdenza. Occorre inoltre considerare che se lo stesso lavoratore andasse in pensione nello stesso periodo ma con la legge dini ( e quindi con l’applicazione a tutti gli anni di vita lavorativa del metodo retributivo) avrebbe una pensione solo leggermente più alta ( circa 29 mila euro contro i 28.500 euro del metodo contributivo).

Questo perché il pro rata viene applicato solo per pochi anni e danneggia di meno i lavoratori che sono più vicini alla pensione. Allo stesso sarebbero introdotti degli incentivi e dei disincentivi per quanto riguarda l’età i cui ci si congeda dal lavoro. Fissando la forchetta tra i 62 ed i 70 anni con età pensionabile a 6 anni, chi va prima dei 65 anni viene disincentivato, mentre chi va dopo gode di benefici. Naturalmente tale metodo deve essere applicato a tutte le classi di lavoratori ( compresi politici e liberi professionisti).

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